FERRARIS IV Attilio
Roma, 23.6.1904 – Montecatini (Pt), 8.5.1947
m. 1,70 – kg. 70
Mediano
Esordio: 25.9.1927 – Roma – Livorno 2-0.

Stagione           Serie       Pres.       Reti

1927 - 28           C.N.        20
1928 - 29           C.N.        29          1
1929 - 30             A          34
1930 - 31             A          34
1931 - 32             A          33
1932 - 33             A          27
1933 - 34             A          21          1
1934 - 35          Lazio
1935 - 36          Lazio
1936 - 37           Bari
1937 - 38           Bari
1938 - 39             A          12



Totale                              210        2 

Poi ce sta Ferraris er mediano, bravo nazionale e capitano…”. Er “Più”,… co’ ‘na faccia così… Il magnifico e chi più ne ha ne metta. Leggendario capitano degli anni trenta (ex Fortitudo, alla Pineta Sacchetti), anzi, il “capitano” di sempre. Detto “il leone di Highbury”, per la superba partita che disputò nel ’34 contro i “maestri” inglesi (Inghilterra – Italia 3-2). Campione del mondo, sempre nello stesso anno, a Roma. Ferraris, il “biondino di Borgo Pio”, cominciò a giocare nel quartiere Prati, al campo dell’istituto “Pio X”, nei pressi di Castel Sant’Angelo, con la squadra della Fortitudo di fratel Porfilio (nella quale, più tardi, si esibì anche Renato Rascel, suo amico). Suo padre gestiva una bottega di riparazioni di bambole, dalle parti di via Cola di Rienzo. Generosissimo, malgrado il fumo e il poker, se azzeccava la partita (a pallone, non a carte), erano dolori per gli avversari. Del resto, non aveva mezze misure, o migliore in campo o niente. Preferiva le donne agli allenamenti, ma era dotato di un fisico che gli permetteva di ben figurare ugualmente. Durante un match del ’31, contro il Casale, nell’intervallo, strigliò i suoi compagni con un “Dateve da fa, fiji de ‘na mignotta!”. Bel ragazzo, dal carattere esuberante, fu anche un dannato play boy (Claudio Amendola lo ha interpretato negli anni novanta, in uno sceneggiato televisivo sui mondiali di Roma del ’34, scritto da Lino Cascioli), per tenerlo un po’ a freno, il presidente Sacerdoti gli aprì un bar in via Cola di Rienzo, dove si vendevano anche i biglietti della partita, bar che lui più che altro ignorò. Poco dopo chiuse bottega. Oggi si chiama bar Cantiani. Attilio Ferraris, per i più Ferraris IV, a fine carriera passò prima al Bari, poi alla Lazio, con scarsi risultati e con i tifosi (giallorossi) in rivolta. Giocò il primo derby da biancoceleste il 19 novembre 1934. Dopo un iniziale silenzio, i suoi ex fans cominciarono a gridargli “venduto!”, la curva opposta, invece, con grande spirito, rispose in coro con un “comprato!”. Dopo l’esperienza sull’altra sponda del Tevere, scese a Bari per poi tornare a indossare i colori del suo grande amore. Una sola stagione e giù a Catania, in serie B. Giocò fino a quasi quarant’anni e interruppe l’attività agonistica professionista (quando indossava la casacca dell’Elettronica) per una squalifica a vita dopo aver picchiato un arbitro. Morì prematuramente, per un infarto, durante una partita di “vecchie glorie”, incurante dell’età, come Umberto Calligaris anni prima. I funerali si tennero alla parrocchia della Traspontina, in via della Conciliazione. “Fuffo” Bernardini scrisse un accorato necrologio. Una curiosità: Attilio esordì in nazionale con la maglia della Fortitudo. Era il 1926 e la Roma non c’era ancora. Fu fondata l’anno successivo dalla fusione di Pro Roma, Alba, Roman, e la stessa Fortitudo. Ha scritto di lui Antonio Ghirelli: “Se il nostro football avesse un Hemingway, non sapremmo raccomandargli protagonista più affascinante…”  Giocò 28 partite in maglia azzurra. A Pozzo, pur di partecipare alle partite della coppa Rimet promise di smettere di fumare (non smise mai, però in quel periodo scese da quaranta, più il resto, a due sigarette al giorno). Il “magnifico”. Nei pressi del Foro Italico gli è stata dedicata una via. “Lassatelo passà, er bello romanino….” Suo il famoso giuramento che, prima di entrare in campo, imponeva ai neogiallorossi. Con il pallone tra le mani dovevano recitare insieme a lui:”Chi da’ ‘a lotta desiste fa ‘na fine mooorto triste, chi desiste da’ ‘a lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta!”. Immaginiamo un momento l’elegante Falçao, l’impenetrabile Nakata o il “Professor” Zsengeller (che parlava latino) con quel pallone in mano… Da “Il Tifone” un sonetto a lui dedicato:”C’è un tifoso feroce, de quelli che er macello te vonno vede:’Attilio!… Scàcchielo! Ammazza quello!”. Due partite in Coppa Italia; quattro presenze in Coppa d’Europa Centrale.

 

 (Alberto Pallotta e Angelo Olivieri)

 

 

"MAGICA ROMA - storia dei 600 uomini giallorossi"

unmondoaparte